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lunedì 27 settembre 2010

Cultura e religione ebraica a Reggio Calabria.(tratto dal numero 3 del Magazine)

La presenza ebraica in Italia è attestata fin dal 161d. C., quando dopo la vittoria contro il generale Nicanore, Judas Maccabeus mandò a Roma una delegazione giudaica per firmare trattati di alleanza col senato romano; la popolazione ebraica in Italia crebbe negli anni a seguire allargandosi non solo a Roma, ma anche nelle altre città, Genova, Capua, Napoli, Taranto, Siracusa, Palermo, Agrigento, tutte città importantissime dal punto di vista commerciale, al centro di vie terrestri di scambio e rilevanti attracchi sul mare. La presenza di ebrei a Roma presuppone lo stanziamento degli stessi in Italia meridionale; per giungere a Roma, infatti, bisognava sbarcare a Brindisi o in Calabria. Anche la storia reggina reca la traccia della cultura ebraica; secondo la leggenda Aschenez, pronipote di Noè, sarebbe stato il fondatore della città di Reggio Calabria. Al di là del mito, ci sono testimonianze antichissime dell’elemento ebraico a Reggio; ancora esiste nella città una via detta della Giudecca: in ogni città dove gli ebrei si stabilivano eleggevano infatti una strada o un quartiere come dimora fissa per l’intera comunità. La Giudecca aveva una propria scuola ed una propria sinagoga ed era completamente indipendente dal resto dell’abitato; era un quartiere chiuso, al di fuori del quale, dopo un certo orario, gli ebrei non potevano uscire. In epoca medievale questo quartiere occupava la parte bassa della città ed era attraversato da una strada che lo percorreva da nord a sud; l’unica porta che comunicava con il centro di Reggio e che chiudeva il Ghetto era Porta Anzana, lungo la costa. Molte città chiudevano le strade durante il Sabato per non arrecare disturbo al riposo prescritto dalla loro legge. Il Ghetto esistette per molti secoli per diverse ragioni; innanzitutto per la naturale propensione che spingeva gli ebrei a stare con gente della loro stirpe; in secondo luogo per la loro fede religiosa; poi per la condizione minoritaria nei confronti dei cristiani; e infine perché le autorità locali spesso li assoggettavano, imponendo loro tributi più alti rispetto al resto della popolazione. Il Ghetto servì a preservare la loro identità, l’essere isolati rispetto al resto della cittadinanza serviva a conservare le tradizioni e la cultura. Gli ebrei si dedicavano soprattutto al commercio della seta; nel ghetto era presente anche il fondaco per lo smercio dei prodotti e la tintoria. Nonostante rappresentassero una minoranza, dunque, avevano acquisito un’importanza notevole proprio per l’incremento che essi apportavano all’economia cittadina.
Gli ebrei si concentrarono soprattutto nella zona costiera ionica calabrese, proprio in ragione delle loro attività commerciali; la singolarità consiste nel fatto che in molte città sono attestate “giudecche senza giudei”, località dove non c’erano ebrei ma che vengono comunque denominate giudecche in quanto vi erano collocate delle tintorie o delle concerie di pelli, attività tradizionalmente svolte dagli ebrei e quindi per antonomasia il luogo in cui sorgeva un’attività commerciale messa in relazione agli ebrei prendeva il nome di giudecca. I rapporti fra gli ebrei e le popolazioni locali non erano sempre distesi; secondo dei registri di commercio, a Nicastro viveva un ebreo che commerciava vino utilizzando uve provenienti dal terreno di un cristiano e ben presto gli venne per questo motivo interdetta la vendita. Al di là di questo racconto, la frattura fra mondo cristiano e mondo ebraico era molto meno profonda di quanto oggi si creda; il Tardoantico e l’Alto Medioevo erano caratterizzati da un certo sincretismo che garantiva stabili relazioni fra ebrei, cristiani, musulmani; esistevano certo dei pregiudizi nei confronti dei giudei, i quali erano visti come conoscitori dell’occulto, operatori di magie e ritualità arcane, ma proprio per questo agli ebrei venivano commissionati amuleti, pratiche magiche e fatture anche da altri popoli.   
Donatella Rizzi

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